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La provincia eclettica / ricognizione dello spazio

La mostra
La mostra – (C) 2014 Giovanni Carru

Doveva essere un saggio, la catalogazione degli spazi circostanti e delle tipologie architettoniche, dentro e fuori l’abitato.

Ricognizione è un termine che evoca distacco, un’azione militare priva di contatto e coinvolgimento. Non presuppone giudizi, prese di posizione. Nessuna interpretazione dei dati, semmai lasciata ad altri, quanto una raccolta analitica di vedute.

Invece il progetto ha preso forma in un flusso di coscienza, a più riprese, una registrazione libera, assecondando vettori spaziali e temporali compositi.

L’osservazione non genera analisi, ma valutazioni istintive e nuovi dubbi, senza alcuna ambizione di sintesi.

A volere cambiare sguardo, la provincia spopolata assume sembianze da suburba, periferia metropolitana. Distante anni luce dal piccolo e rassicurante universo sin qui figurato.

Un paesaggio nostro ha ceduto all’omologazione, plasmato lentamente e senza consapevolezza su modelli remoti. E’ la somma inesatta di elementi vari, dissonanti , alla ricerca di una nuova armonia. Piombato così, per caso, in un immaginario lontano. Contemporaneo e ben oltre il pittoresco, a cui ci si vorrebbe ancora aggrappare.

E’ necessario estraniarsi, assumere un punto di vista forestiero, per apprezzare una veduta quotidiana andando oltre l’abitudine.

Il punto di vista di un viaggiatore insonne, che si attardi per le vie del paese alle ore meno convenzionali.

Che, guardandosi attorno, si interroghi sulle ragioni di un gotico contemporaneo, appena eretto o già rudere, espressione come ogni architettura dei princìpi dell’umanità che ospita. Scheletri, slanci verso l’alto, vuoti, linee verticali, dislivelli vertiginosi. Simulacri di tempi migliori, ambizioni individuali, saghe familiari e migrazioni fortunate. Il sottrarsi a ogni azione e progetto collettivo, canoni pragmatici, una pianta disordinata ed estemporanea. Ordine e pulizia formale relegati all”esterno dell’abitato vitale.

I feticci sorti tutt’attorno, totem in acciaio, silicio e lega leggera, testimoniano la pratica di nuovi culti. I cui numi tutelari, a ben vedere, devono ancora certificare la propria benevolenza.

Come altri idoli, brillanti per pochi lustri e rapidamente decaduti, di cui non rimangono che le spoglie.

Le ciminiere solitarie, ora spente e inutili, sono il peccato originale.

[testo introduttivo della mostra]

© 2014  Giovanni Carru – tutti i diritti riservati

La provincia eclettica, la galleria sul progetto
Il peccato originale, il trittico

 

Nella vecchia cantina / La Nuova Sardegna

Nella vecchia cantina la Provincia eclettica di Giovanni Carru
La Nuova Sardegna – 6 settembre 2014

BITTI. La storica cantina di “Pipinu’e Brocale”, uno spazio dove per decenni avveniva la stagionatura del pecorino romano, ospiterà per Cortes Apertas 2014 la mostra del fotografo bittese Giovanni Carru “La provincia eclettica-Ricognizione dello spazio/Il peccato originale”; una ricerca sullo spazio urbano e sul territorio circostante. «Doveva essere un saggio – dice Giovanni Carru – una catalogazione degli spazi circostanti e delle tipologie architettoniche, dentro e fuori l’abitato. Invece il progetto ha preso forma in un flusso di coscienza, a più riprese; una registrazione libera, assecondando vettori spaziali e temporali compositi». L’obiettivo di Carru cattura una provincia spopolata, distante dal micro-universo rassicurante e spesso dai più, oggi solo immaginato; assumendo sembianze appartenenti più ai quartieri suburbani di una desolata periferia metropolitana; una landa deserta, apparentemente priva di vita. Eppure la quotidianità c’è, in quei totem in acciaio, silicio e lega leggera, a testimonianza di nuovi culti, di una umanità circostante che oggi li ospita, forse già con distacco, ma che in tempi non molto lontani li ha eretti. «È necessario estraniarsi, assumere un punto di vista forestiero – è il consiglio di Carru – per apprezzare una veduta quotidiana andando oltre l’abitudine. Come l’occhio di un viaggiatore insonne, che si attarda per le vie del paese alle ore meno convenzionali e che, guardandosi attorno, si interroga sulle ragioni di un gotico contemporaneo, appena sorto e già rudere».

La cantina de Brocale, situata in via Brigata Sassari e facilmente raggiungibile a piedi dal centro, rimarrà aperta per la mostra oggi e domani. (p.f.)

http://lanuovasardegna.gelocal.it/nuoro/cronaca/2014/09/06/news/nella-vecchia-cantina-la-provincia-eclettica-di-giovanni-carru-1.9885484

 

Cartoline / appunti a margine di Ex voto suscepto

Ex voto suscepto - allestimento a Santu Michelli
Ex voto suscepto – allestimento a Santu Michelli – (C) 2013 Giovanni Carru

 

Le fotografie si susseguono in una doppia serie, lettura articolata di una realtà complessa a cui non bastano due sole dimensioni senza ricerca di ulteriore profondità. I percorsi logici sono distinti dalla disposizione delle stampe nello spazio e dal plateale gioco delle proporzioni invertite – architettura che diventa minima e materia e filigrane gigantesche – ma prima ancora dai registri e dai toni utilizzati in funzione narrativa.

Il senso della disposizione degli scatti sul villaggio sacro alle pareti di Santu Michelli è una via crucis. Sono toni cupi, colori comuni, quotidiani, desaturati quelli dell’architettura del santuario, ridondante come nella percezione di chi attraversa la piazza tra le cumbessias ogni giorno della novena. Cieli grevi quelli sopra il pellegrino, lucenti per chi soddisfa il proprio bisogno di trascendente.

L’ex voto, il gioiello scintillante e palpabile, pur rappresentazione materiale di una condizione metafisica, di un sentimento, cattura la scena e si impone all’attenzione di chi lo ammira.

E’ una suggestione, invece, il dolore e il tormento di chi quell’oggetto lo ha posseduto e poi donato. Il santuario dell’Annunziata non è solo il luogo assolato e luminoso dei giorni festanti del novenario, così come è inteso dai più, ma anche il teatro di inquietudini e speranza.

La sacralità del luogo, come in altri novenari, risiede nella chiesa e nei suoi riti, ma riecheggia nel villaggio e in tutta la valle, nelle pareti circostanti, ed è avvertita in qualche modo anche da chi non ne riconosce il fondamento religioso.

La partecipazione alla festa è per i bittesi una consuetudine, e guardarla con occhi più attenti richiede uno sforzo, un esercizio mentale di straniamento, di messa in discussione del proprio immaginario consolidato. Necessario per estrapolare gli ori e i monili, che appuntati sul manto della Madonna diventano un tutt’uno, idea di abbondanza di cui si perdono i dettagli, nonostante la visita quotidiana al simulacro del santo. Scopro che l’estraneo è facilitato in questa lettura del progetto, non condizionata dall’esperienza in prima persona, sensibile agli aspetti meno evidenti. E’ colui che visita la mostra prendendo tempo tra le gigantografie, per godere del profumo della travatura in ginepro del tetto della chiesa.

Santu Michelli è uno spazio irregolare e asimmetrico, come tutte le cose belle. Non un contenitore neutro, una scenografia, ma mura solide dall’identità chiara, con cui è possibile solo raggiungere un equilibrio. Rosari pendenti dalle travi, via crucis, la Madonna lignea sospesa sull’abside, tra i residenti abituali. Niente di barocco, grandi pareti bianche, allestimento minimale.

Ragiono sul colore, saturo o insaturo in ogni immagine per scelta consapevole, forse rischiosa, certo sottovalutata. I colori tenui percepiti ancor più tenui – o slavati – per il contrasto coi primi.

L’aspetto comune e realistico delle cose induce disagio quando contraddice il nostro immaginario irrazionale, determinato dalla presa dei colori e delle emozioni di maggio, ma soprattutto colonizzato dallo sguardo esterno, vittima di una visione cartolinesca.

Provate a proporre a una rivista milanese o romana immagini di Sardegna prive di contrasti estivi, e vi risponderanno che non va bene, non è abbastanza Sardegna. Increduli, voi che ci vivete tutto l’anno vi sentirete sminuiti da quello sguardo sensibile solo ad azzurri marini, verdi e gialli privi di ambiguità e sfumature. Roba da sfilata folkloristica, visi sorridenti e colori sgargianti.

Il dramma, certo non nuovo, è che quello sguardo un pò mercantile fa proseliti anche fra coloro che lo subiscono. Isolani per i quali il suolo che calpestano, senza quei colori, non è abbastanza Sardegna. Uno sguardo da cui deriva la difficoltà crescente di riconoscersi nelle cose, di identificarsi con esse, di intrattenervi legami forti, pregnanti.

Quali sono i rischi che derivano da una siffatta colonizzazione dell’immaginario? Oltre, naturalmente, alla scontata diluizione di un’identità sempre più effimera. Debole, per disimpegnarsi ricorrendo ad una definizione asettica.

Se la nostra percezione della realtà è alterata – distaccata e negli intenti pragmatica – siamo in grado di raccontarla ad altri? Possiamo proporre all’esterno qualcosa di nostro che non avvertiamo realmente, intimamente, come tale, se non nella sua manifestazione più gradevole, superficiale e sfuggente?

Portiamo avanti una relazione senza prospettiva, come con un’amante in cui crediamo solo nei momenti in cui sfoggia il suo volto migliore. Non possiamo raccontare ad altri ciò che non amiamo veramente, noi stessi non possiamo trarne veramente beneficio.

Vale per ognuna delle bellezze incomprese che ci circondano. Paesi, paesaggi, vuoti, costruzioni antiche e moderne. Per il tangibile e l’immateriale in cui è immerso.

© 2013  Giovanni Carru – tutti i diritti riservati

 

Ex voto suscepto, la galleria