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Cartoline / appunti a margine di Ex voto suscepto

Ex voto suscepto - allestimento a Santu Michelli
Ex voto suscepto – allestimento a Santu Michelli – (C) 2013 Giovanni Carru

 

Le fotografie si susseguono in una doppia serie, lettura articolata di una realtà complessa a cui non bastano due sole dimensioni senza ricerca di ulteriore profondità. I percorsi logici sono distinti dalla disposizione delle stampe nello spazio e dal plateale gioco delle proporzioni invertite – architettura che diventa minima e materia e filigrane gigantesche – ma prima ancora dai registri e dai toni utilizzati in funzione narrativa.

Il senso della disposizione degli scatti sul villaggio sacro alle pareti di Santu Michelli è una via crucis. Sono toni cupi, colori comuni, quotidiani, desaturati quelli dell’architettura del santuario, ridondante come nella percezione di chi attraversa la piazza tra le cumbessias ogni giorno della novena. Cieli grevi quelli sopra il pellegrino, lucenti per chi soddisfa il proprio bisogno di trascendente.

L’ex voto, il gioiello scintillante e palpabile, pur rappresentazione materiale di una condizione metafisica, di un sentimento, cattura la scena e si impone all’attenzione di chi lo ammira.

E’ una suggestione, invece, il dolore e il tormento di chi quell’oggetto lo ha posseduto e poi donato. Il santuario dell’Annunziata non è solo il luogo assolato e luminoso dei giorni festanti del novenario, così come è inteso dai più, ma anche il teatro di inquietudini e speranza.

La sacralità del luogo, come in altri novenari, risiede nella chiesa e nei suoi riti, ma riecheggia nel villaggio e in tutta la valle, nelle pareti circostanti, ed è avvertita in qualche modo anche da chi non ne riconosce il fondamento religioso.

La partecipazione alla festa è per i bittesi una consuetudine, e guardarla con occhi più attenti richiede uno sforzo, un esercizio mentale di straniamento, di messa in discussione del proprio immaginario consolidato. Necessario per estrapolare gli ori e i monili, che appuntati sul manto della Madonna diventano un tutt’uno, idea di abbondanza di cui si perdono i dettagli, nonostante la visita quotidiana al simulacro del santo. Scopro che l’estraneo è facilitato in questa lettura del progetto, non condizionata dall’esperienza in prima persona, sensibile agli aspetti meno evidenti. E’ colui che visita la mostra prendendo tempo tra le gigantografie, per godere del profumo della travatura in ginepro del tetto della chiesa.

Santu Michelli è uno spazio irregolare e asimmetrico, come tutte le cose belle. Non un contenitore neutro, una scenografia, ma mura solide dall’identità chiara, con cui è possibile solo raggiungere un equilibrio. Rosari pendenti dalle travi, via crucis, la Madonna lignea sospesa sull’abside, tra i residenti abituali. Niente di barocco, grandi pareti bianche, allestimento minimale.

Ragiono sul colore, saturo o insaturo in ogni immagine per scelta consapevole, forse rischiosa, certo sottovalutata. I colori tenui percepiti ancor più tenui – o slavati – per il contrasto coi primi.

L’aspetto comune e realistico delle cose induce disagio quando contraddice il nostro immaginario irrazionale, determinato dalla presa dei colori e delle emozioni di maggio, ma soprattutto colonizzato dallo sguardo esterno, vittima di una visione cartolinesca.

Provate a proporre a una rivista milanese o romana immagini di Sardegna prive di contrasti estivi, e vi risponderanno che non va bene, non è abbastanza Sardegna. Increduli, voi che ci vivete tutto l’anno vi sentirete sminuiti da quello sguardo sensibile solo ad azzurri marini, verdi e gialli privi di ambiguità e sfumature. Roba da sfilata folkloristica, visi sorridenti e colori sgargianti.

Il dramma, certo non nuovo, è che quello sguardo un pò mercantile fa proseliti anche fra coloro che lo subiscono. Isolani per i quali il suolo che calpestano, senza quei colori, non è abbastanza Sardegna. Uno sguardo da cui deriva la difficoltà crescente di riconoscersi nelle cose, di identificarsi con esse, di intrattenervi legami forti, pregnanti.

Quali sono i rischi che derivano da una siffatta colonizzazione dell’immaginario? Oltre, naturalmente, alla scontata diluizione di un’identità sempre più effimera. Debole, per disimpegnarsi ricorrendo ad una definizione asettica.

Se la nostra percezione della realtà è alterata – distaccata e negli intenti pragmatica – siamo in grado di raccontarla ad altri? Possiamo proporre all’esterno qualcosa di nostro che non avvertiamo realmente, intimamente, come tale, se non nella sua manifestazione più gradevole, superficiale e sfuggente?

Portiamo avanti una relazione senza prospettiva, come con un’amante in cui crediamo solo nei momenti in cui sfoggia il suo volto migliore. Non possiamo raccontare ad altri ciò che non amiamo veramente, noi stessi non possiamo trarne veramente beneficio.

Vale per ognuna delle bellezze incomprese che ci circondano. Paesi, paesaggi, vuoti, costruzioni antiche e moderne. Per il tangibile e l’immateriale in cui è immerso.

© 2013  Giovanni Carru – tutti i diritti riservati

 

Ex voto suscepto, la galleria